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Supermarket2

Io come scrittore

Supermarket2
(Sganciarono l'atomica e intanto mi trovavo in un centro commerciale)

G.G

«Senta, e quando comincerebbe?»
«Mi dia il tempo di svuotare il cestino».
«Allora viene subito?»
«Calma, il cestino è pieno di cartacce e il mio assistente dice che son da controllare».
«Che ci pensi lui».
«Chi? Il mio assistente? Ma allora vuole che venga io o lui?»
«Ma insomma venga lei e il suo assistente che controlli le cartacce».
«Non sono tutte cartacce, se son da controllare vuol dire che qualcuna è buona».
«Oh santo cielo, ma il suo assistente dov'è?»
«E a lei cosa interessa? Lo sa che esiste la privacy professionale?»
«Si, si. Comunque si sbrighi che il mio caso è urgente».
«D'accordo, ora lo chiamo e gli dico di controllare il cestino».
«Ma non doveva farlo lei?»
«Mai detto questo, i cestini non mi competono».
«Ok l'aspetto... ». Chiusi la comunicazione e guardai l'ora. Erano le nove del mattino ed ero preoccupato per non aver ancora espletato i miei bisogni fisiologici. Non sapevo che fare nel senso non ritenevo del tutto prudente uscire. Dovevo attendere. Avevo appena stampato un rapporto ma c'erano evidenti errori ortografici. Presi il foglio, l'appallottolai e lo buttai nel cestino da una distanza di tre metri. Non sbagliavo mai. Entrò, anzi per usare termini appropriati, s'introdusse nella stanza il mio assistente.
«C'è un cestino da svuotare?» Aveva origliato, era evidente.
«Sì, eccolo».
«Ma è quasi vuoto».
«Senti, svuotalo ugualmente». Mi alzai dalla poltrone girevole con una smorfia di sofferenza.
«Dove sta andando?»
«Stai qui che vado a svuotare il mio cestino». Gilberto, il mio assistente, non era il massimo della sobrietà e finalmente capì.
«Va alla toilette vero?»
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«Io esco. Stai qua, rispondi alle chiamate e se c'è bisogno di me, telefonami. Mi raccomando, occhi e orecchie bene aperti». Gilberto era il meglio che ero riuscito a trovare. C'era penuria di acume e un buon assistente non lo vendono certo al mercato. Scesi giù contando i gradini anche se sapevo che ogni rampa ne aveva nove. Ma l'ultima invece dieci e perciò il salto mi veniva male come sempre. Il direttore del supermarket aveva seri problemi. Sosteneva, a ragion veduta, che nel locale si aggirasse un ladro di cibo e maniaco sessuale. Cioè rubava e molestava le femmine: un gran furbacchione. Uno stravagante viveur, mi era già simpatico, ma il seguito rivelerà il contrario; inoltre dovevo fare il mio dovere di investigatore per mandare avanti la baracca.
Quando mi presentai presso la direzione erano già le undici e feci un po' di anticamera. Arrivò un magazziniere che senza bussare entrò con un documento da far firmare, poi entrò un responsabile di reparto, poi una semplice commessa e intanto io aspettavo. Passata mezz'ora mi decisi ad alzarmi e ad entrare anch'io senza bussare.
«Sarei arrivato».
«Finalmente si è deciso».
«Mi spieghi bene che vorrei cominciare».
«C'è un tizio, non si sa chi e neppure come fa, che ruba cibo. Ci sono seri ammanchi: caviale, formaggi e prosciutti pregiati e anche vini d'alto rango».
«Avete dei sospetti?»
«Senta, ma lei è sicuro di saper fare il proprio mestiere? Avessi avuto dei sospetti non l'avrei interpellato visto quel che mi costa». Il direttore era un tracagnotto di bassa statura, occhialetti e carnagione bianchissima. Pochi capelli rossi e occhi piccoli e fuggevoli iniettati di sangue. Massimo due anni di vita prima di rendere l'anima al creatore per infarto.
«Stia tranquillo che il caso glie lo risolvo».
«Bene, bene. Può andare e mi tenga al corrente di eventuali sviluppi».
«Un'ultima cosa, mi servono duecento euro di acconto. Sa, per le spese che devo sostenere». Il direttore si fece rosso in faccia e dopo aver tirato fuori il portafogli, mi porse il denaro. Ringraziai e mi avviai all'uscio. Poi riflettendo e socchiudendo gli occhi, prima di uscire mi girai e domandai:
«Ma è sicuro? Non ha proprio nessun sospetto?»
«Fuoriiii, se ne vada e si sbrighi a trovare il colpevole». Urlato questo, il direttore si precipitò alla porta, mi spinse e la chiuse sbattendola a gran forza. Sbadigliai e stiracchiai gli arti uno alla volta. Mi diressi verso destra e mi trovai in un lungo corridoio parallelo ad un altro, separati da una lunga siepe sintetica alta circa un metro e intervallata a distanze regolari da varchi per il passaggio. Il corridoio parallelo lo avevo a sinistra mentre a destra era un susseguirsi di vetrine di negozi di abbigliamento. Cominciai a scrutare ogni individuo, maschio o femmina che fosse. La mia espressione doveva apparire strana perchè dall'altra parte della siepe, un tizio vestito da guardia giurata prese a fissami. Io feci lo gnorri ma quello mi seguì per un lungo tratto. Ero un investigatore privato inseguito da un poliziotto privato. Potevo io seguire lui, ma l'iniziativa era stata sua. Mi abbassai ad allacciarmi volutamente una scarpa sparendo momentaneamente alla sua visuale. Lo vidi quasi subito spuntare da un varco, doveva aver corso. Mi venne vicino e disse:
«Ehi, chi sei?»
«Perchè? A te cosa importa?»
«Rispondi alla domanda, faccio parte della sicurezza».
«Ah bene allora siamo colleghi».
«Colleghi? Non vedo divise. Io invece la indosso per farmi riconoscere, vedi la scritta?» In effetti la targhetta a sinistra del petto riportava la scritta Security. L'agente di sicurezza riprese:
«Allora si può sapere chi sei?» Costui, il tizio che avevo davanti, era di corporatura simile al direttore. Grosso, basso e pelato. Forse qualche anno di meno. Ma comunque stessa arroganza nell'approcciarsi. Mi venne da sputargli in faccia. Comunque mantenni la flemma e risposi:
«Sono una specie di tuo collega, eccoti le mie credenziali». Parai davanti al suo brutto muso i mio tesserino regolarmente rilasciato dall'ente competente, riportava: Glauco de Cesari, investigatore privato. Per quanto poco percettibile, notai che quella faccia sbagliata si rilassò.
«E questo cosa dovrebbe suggerirmi?»
«Te lo dico subito, il direttore della baracca mi ha chiamato per indagare circa certi furti e abusi sessuali. Ne sai niente?»
«Senti amico, per quanto ti possa sembrar strano, sto indagando anch'io ma l'incarico mi viene da un mio superiore».
«Niente in contrario. Sei disposto a collaborare? Unendo le nostre forze qualcosa ne verrebbe fuori. Potremmo fare bella figura eh? Che ne dici?»
«Dico che vai a fare in culo!» Simpatico l'amico, se non si fosse voltato subito gli avrei sputato davvero su quel brutto muso. Mentre si allontanava, notai che zoppicava. Non in maniera vistosa, ma si notava. Andai al bar e bevvi un caffè corretto Sambuca, mi ci voleva. Poi per prima cosa mi recai nel reparto gastronomia del supermercato al piano terra. Mi avvicinai al bancone oltre il quale erano indaffarati quattro tizi con la traversa. Accostai ad uno di loro che subito mi intimò di prendere il numero. Cercai di spiegare che ero lì non per comprare ma per indagare, ma quello insistette con quel cazzo di numero. Ok lo presi e fra l'altro coincideva con la mia età e attesi quindici minuti. Quando venne il mio turno, dei quattro mi capitò proprio il tizio del numero. Gli feci vedere il tesserino e gli dissi:
«Senti amico se non vuoi che ti faccia ingoiare questo pezzo di carta, fai il giro del bancone e vieni a rispondere ad un paio di domande». Quello divenne pallido come il baccalà che c'era là esposto e come un polipo floscio uscì dal retro e parve che mi si avvicinò strisciando.
«Senti occhi-da-pesce-morto, so che avete subito vari furti».
«Si-sissignore è vero».
«Chi può accedere liberamente in questo reparto. Intendo di notte?»
«Il servizio di vigilanza, ha tutte le chiavi».
«Intendi tutte le chiavi del regno? Anche dei cessi?»
«Si, tutte».
«E senti qua, anche dei camerini cioè dei negozi di abbigliamento, è ovvio. Hai qualche sospetto?»
«Chi io?»
«No, Gesù bambino. Chi altri ha le chiavi?»
«Il direttore le tiene tutte in una specie di cassaforte».
«Un'ultima cosa: c'è un cibo particolare che il ladro preferisce?»
«A pensarci bene, sì. Ci sarebbe il salmone scozzese, è in confezione da due etti».
«Ma vi spariscono anche altre cibarie?»
«Sì, formaggio e prosciutto crudo di qualità, e vino ma solamente il Barolo. Ma sospettate di me?»
«Ok mi basta e ora striscia via!» Il polipo dileguò e appena giunto dietro il bancone del pesce, riacquistò la vivacità di un'anguilla, fra i suoi simili. Dovevo indagare ancora, non possedevo qualche elemento che mi soddisfacesse. Uscii dal supermercato e una figura zoppicante fece in tempo a svoltare l'angolo. Avevo capito chi fosse e cominciavo a covare qualche sospetto. Mi recai nel negozio di abbigliamento più frequentato, era di sopra. Salii sulla scala mobile per poi percorrere la stessa strada, quella con in centro la lunga siepe sintetica. Dietro avevo lumacone che mi seguiva.
«Buongiorno, è permesso?»
«Prego entri pure». La commessa era una sciattona rossa di capelli e c'era da scommetterci che anche se vestita con duemila euro di abiti, addosso a lei dovevano sembrare stracci. Io indossavo una bella giacca, mi ero rasato e indossavo stivaletti marroni tirati a lucido. La sciattona li guardò, guardò la giacca e guardò infine anche me.
E quando il suo sguardo si fece intenso, io distolsi e mi guardai la mano che si immergeva nella tasca interna della giacca. Le mostrai la mia credenziale e esclamai:
«Sarei qui per farle un paio di domande». Quella insisteva con lo sguardo e rispose
«Mi faccia tutte le domande che vuole».
«Potrei innanzitutto vedere i camerini?»
«Ma certo, sono luoghi mooolto intimi». Cominciò a darmi piccole spinte sui fianchi e così fece fino ai camerini. La sciattona si faceva sempre più audace ma io dovevo fare il mio lavoro.
«Posso entrare dentro?»
«Certo, cocco». I camerini erano tre e feci un'accurata ispezione.
«Ha notato se ci sono buchi nel muro?»
«Sì, sono tutti alle pareti di fondo; dall'altra parte c'è un corridoio esterno poco frequentato e semibuio. Comunque li abbiamo tappati».
«Avete preso ulteriori provvedimenti?»
Abbiamo messo una telecamera esterna, nel corridoio, ma per problemi di luce e di spazi, è stata posizionata dietro una siepe sintetica che però ha ripreso dal metro e settanta in su».
«Avete visionato il video?»
«Certo e si è visto un braccio che si alzava per appoggiarsi alla parete».
«Posso vedere?»
«Si vieni abbiamo un retro». La sciattona ricominciò a spingermi con quelle mani molli e piene di unghie affilate, addirittura mi prese una chiappa e me la pizzicò. Io ero tentato di telefonare all'associazione per la tutela degli investigatori privati contro gli abusi sessuali ma avevo fretta di concludere. Il retro faceva schifo, tracce d i cibo dappertutto. L'anoressica- bulimica si dava da fare. Mi mostrò il video e quando vidi quel braccio che si alzava in alto, notai l'orologio. Un orologio costoso e particolare. Poi si evinceva che doveva trattarsi di un individuo al di sotto di un metro e settanta altrimenti la telecamera ne avrebbe ripreso un pezzetto. Con la scusa di fotografare il fermo-immagine, feci una panoramica della stanza e mentre riflettevo sulle mie prossime mosse, quella mantide si avvinghiava e si sfregava sul mio attributo. Mi divincolai ed esclamai:
«Grazie signorina, mi è stata molto utile. Posso avere una copia del video? Ho la chiavetta usb, basta inserirla». Effettuammo il riversamento che fortunatamente durò poco perchè quella si faceva sempre più spudorata e scappai via.
«Ma dove vai cocco? Vieni qua dal tuo passerottino». Appena fuori, fatti solo alcuni passi, mi arrivò una sventola che mi fece cadere. Era lumacone, doveva essere impazzito.
Canaglia ho visto tutto. Potrei denunciarti.
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Lumacone non era una cima di intelligenza e forse a scuola era relegato all'ultimo banco. Doveva essere stato un solitario, di quelli senza amici, non so se mi spiego. Fatto sta che mi tirò quel ceffone perchè geloso, il fatto aveva dell'incredibile.
«Brutta canaglia, ho visto che le mettevi le mani addosso. Sei tu il maniaco sessuale».
«Le mani addosso? E a chi?»
«Lo sai bene, a Gabriella la mia fidanzata».
«Chi, la commessa di questo negozio?»
«Esattamente, te la sei portata prima nel camerino e poi sempre con l'intrigo e con la scusa del tuo lavoro, anche nel retro». Mi alzai e mi ricomposi, poi, senza dir nulla, prima gli sputai in faccia che mi ero ripromesso di farlo e poi gli tirai un manrovescio che cadde anch'esso al suolo.
«Senti lumacone, stammi alla larga». Così detto, mi precipitai ai bagni per guardarmi allo specchio e ricompormi». Feci finta di niente ed entrai nel reparto dov'era segnato Milady per dare un'occhiata. L'unico bagno che aveva una parete non in comune con gli altri era quello di sinistra. E questo confinava con una stanzetta chiusa a chiave e con la targhetta sulla porta: “privato”. La porta, dicevo, era chiusa e quindi fui costretto ad entrare nel bagno confinante. Lo perlustrai e difatti, come sospettato, al muro c'era un buco, che dava alla stanzetta delle scope. Il maniaco c'era da scommetterci, possedeva anche le chiavi del locale chiuso. Questo buco non era tappato, e nessuno sapeva nulla della sua esistenza. Uscii che mi ritrovai una donna davanti. Una donna robusta sui quaranta. Quella mi guardò ed esclamò: «Maniaco pervertito!» Sgattaiolai via veloce tirando prima lo sciacquone per rendere la situazione più naturale possibile. Fuori nel corridoio c'era un via-vai di spendaccioni compulsivi e io mi accodai per mimettizzarmi, non si poteva mai sapere ed infatti poco più in là, in agguato dietro la siepe sintetica, sporgeva bene in vista la testa di lumacone che sicuramente si muoveva in tutte le direzioni per rintracciarmi. Furtivamente tornai alla bottega, quella dove lavorava Gabriella. Quando mi vide gioì ma la sua esuberanza venne smorzata dalla presenza di un cliente al quale andava tutta la mia gratitudine.
«Salve, avrei ancora qualche domanda».
«Sono tutta per te, cocco».
«La guardia giurata là fuori è il tuo fidanzato?»
«Ma scherzi? Quello mi fa scappare le clienti, sapessi come se le guarda il porco».
«Ma sostiene che tu sei la sua donna».
«Scherzi? Quel maniaco? Pensa che con la scusa di acquistare dell'intimo per sua cugina, si porta al viso tutti gli indumenti. Tu sei molto meglio». Detto questo, non vista da nessuno, furtiva, con la mano acchiappò i miei poveri attributi e li strizzò con voluttà.
«Senti gallina, Qui mi sembra che ci sia inflazione di maniaci». Mi divincolai e corsi fuori. Squillò il telefono, era Gilberto
«Capo, il direttore del centro commerciale ti vuole vedere subito».
«E perchè non mi ha telefonato?»
«Dice che non ha il tuo numero».
«Ci sono altre novità? Ha chiamato qualcun altro?»
«No nessuno». Mi precipitai dal direttore il quale volle sapere come andavano le indagini.
«Sono a buon punto, mi manca solamente la prova schiacciante. A proposito sa dirmi che ore sono?» Il direttore mise in mostra uno stupendo orologio identico a quello del braccio del video. Quindi era lui il colpevole.
«Sono le tredici».
«Devo scappare. Direttore, torno nel pomeriggio, vedrà che metteremo la parola fine a questa storia». Corsi via trafelato. Mangiai un boccone al bar e filai in studio. Gilberto non c'era e ne approfittai per riguardare il famoso filmato, quello che riprendeva il braccio con l'orologio. Lo guardai bene e notai una stranezza. Poi c'era la foto che avevo fatto nel retro della boutique dove lavorava Gabriella e anche lì c'erano cose strane. Insomma, niente di normale, nuotavo controcorrente in un fiume pieno di spazzatura.
Alle quattordici e trenta ero in macchina diretto al centro commerciale. Arrivai che avevo le idee abbastanza chiare. Entrai senza bussare, l'avevo visto fare dagli altri. In quel contesto l'educazione era un impiccio. Il direttore si alzò in piedi e mi chiese subito se ci fossero delle novità. Quei suoi occhietti si fecero curiosi e vogliosi di risposta.
«Riesce a convocare qui subito delle persone? Dipendenti di questo centro commerciale, s'intende».
«Qui subito? Mi dia i nominativi». Glie li diedi e dopo circa venti minuti, con l'aggiunta di qualche sedia, eravamo in cinque attorno alla scrivania: il gastronomo, Gabriella, la guardia giurata, io e il direttore.
«Chiedo attenzione e se è il caso, delle risposte. Il video che ho visionato è un montaggio scadente. Praticamente un fermo immagine del braccio del direttore con tanto di orologio al polso che lo comprova, inserito nell'immagine di un muro ripreso dalla telecamera. Fra l'altro il muro è di un colore un po' diverso».
«Come sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che hanno tentato di incastrarla».
«Ma chi per Dio? Chi vuole incastrarmi? E perchè?»
«Un momento ci arrivo. Lei direttore era l'indiziato numero uno ma poi, dopo aver visionato il video, ho ritenuto opportuno scagionarla. E poi c'è la foto. Lei Gabriella riconosce cosa ritrae questa fotografia?»
«Sì, certo, è il retro-bottega dove io lavoro».
«Benissimo. Ora passiamo al gastronomo». Quest'ultimo aveva le mani ancora sporche di seppia e se le passava in uno straccio. Gli chiesi ad alta voce quali fossero i prodotti maggiormente rubati ed egli ripetè, come la prima volta che glie lo chiesi:
«Ci sono parecchi ammanchi, ma sembra che il ladro preferisca il salmone scozzese, i salumi e i formaggi di qualità e il vino barolo». Presi la foto e glie la misi davanti al naso.
«Praticamente tutta roba che c'è in questa foto?»
«Si, vero: salmone vino, formaggi e affettati».
«Quindi ne deduco, direttore, che il colpevole, senza ombra di dubbio, è la qui presente commessa». Il direttore si fece rosso in faccia e si alzò in piedi ma prima che potesse dire qualcosa, lo bloccai.
Non è tutto. Questa donna ha tentato di coprire l'indegno comportamento del suo amante il quale esercitava abuso sessuale con la pratica che ben sappiamo cioè spiando attraverso i fori le nudità delle inconsapevoli clienti e delle ignave donne che si recavano alla toilet. Perciò altro colpevole è la qui presente guardia giurata. Degna coppia. Al guardiano venne intimato di consegnare il mazzo di chiavi porgendolo sulla scrivania del direttore. E mentre si prendevano seri provvedimenti per i due colpevoli, Gabriella ancora ci provava col sottoscritto facendo piedino. Quel mazzo di chiavi era davvero pesante e me lo ritrovai in mano per un paio di minuti. Salutai tutti e mi diressi all'uscita della stanza. Tutto era andato liscio, avrei ricevuto il resto del compenso e magari anche una gratifica vista la velocità d'azione. Ma un premio me l'ero anche fatto da me. In tasca tenevo il bottino più prezioso: la chiave dello sgabuzzino delle scope.

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